Erano gli anni 2004-2007, Julio ed io abitavamo a bordo fogna, in un vicolo di Rocinha, oscuro, molto stretto ed estremamente rumoroso. Eppure nella totale precarietá dell´ambiente, la vita scorreva affascinante, avvolgendoti nelle sue contraddizioni. Personaggi ormai rari, come caratteri teatrali, rendevano il nostro quotidiano unico, erano gli imbonitori. Il panettiere, di cui scrivo in seguito, ispiró anche un funky locale.
Le comunità brasiliane sono in continua e veloce evoluzione, si trasformano, crescono in moto perpetuo, la vita scorre e ne diventi al contempo spettatore e partecipante.
Un retaggio culturale in via di estinzione a Rocinha, sono i venditori ambulanti che percorrono vicoli e scalinate secondo un itinerario preciso e puntuale per fidelizzare il cliente. Le ore della giornata scandite dalle grida, canzoni, appelli degli imbonitori.
Tanti anni fa, immancabile alle 7,30 del mattino, passava il garzone di una panetteria, ragazzo giovane, secco e muscoloso, cesto di vimini sulla testa, proponendo i prodotti appena sfornati per la colazione.
Panini francesini e torte casalinghe. Cantava a ritmo di filastrocca: “è il panettiere, è nervoso, ci sono torte di mandioca, e anche di cioccolato. Insomma, è NERVOSISSIMOOOOOO – è o padeiro, è boladao, tem bolo de aipim, chocolate tambem. È o padeirooooo…” e noi si scendeva le rampe di scale velocemente perché il passaggio era rapidissimo e la giornata cominciava in modo energico, una bella scossa di adrenalina di primo mattino, senza il bisogno della sveglia perché gli orari erano imposti e rispettati dagli ambulanti urlatori.
La magia creata da questo ragazzo, si ripresentava il pomeriggio, quando passava per la merenda. Complice l’orario del fine lezioni scolastiche, veniva allora accompagnato da un gruppo di bimbi che si allineava dietro di lui in fila indiana per l’ angusto spazio dei vicoli di favela e lo seguiva ripetendone le strofe e imitandone la gestualità: lui cantava “è o padeiro” e i bimbi in coro con le loro belle vocine acute, ripetevano “è o padeiro” e lui “è boladao” – loro “è boladao” e i bimbi continuavano così, frase per frase, cantando a ritmo e gioindo di sane risate. Sbucavano dall’ oscurità del dedalo alle loro spalle, in fila armoniosa e allegra, assorbiti nel ruolo di attori coadiuvanti del teatro festoso della vita, là dove c’ è fango, umidità, fogna a cielo aperto, arrivava il pifferaio magico, i suoi bimbi e le torte profumate.
E la favela, nella sua precarietà, diventava pura poesia.
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