…. temevo che prima o poi sarebbe successo …….. . ma cercavo di non pensarci.
Qua la morte é vissuta con naturalitá, é parte di una vita condotta con molte connotazioni drammatiche. E lo sconvolgente é che ci si abitua.
Quante volte leggo stupore e dolore negli occhi sgranati di amici o viaggiatori che vengono a trovarmi, ed allora rinnovo anch´io la consapevolezza della eccezionalitá del vivere in una favela. La morte ti é sempre vicina qua, a volte ti sfiora e non te ne accorgi neanche; la percepisci nelle malattie dei bambini malnutriti; negli spari che senti nella notte; nella misera precarietá di baracche in bilico e che crollano sotto il peso della pioggia.
Eppure quanto é inaccettabile la morte di un ragazzo di 16 anni per overdose……. di trielina!!!
Si chiamava C. ed era uno dei miei ragazzi che fanno i giocolieri con le palline da tennis al semaforo all´entrata della favela. É morto soffocato domenica, allo stesso semaforo dove quasi ogni giorno lo incontravo. Era bello, tranquillo, educato, il papá in galera e non so quanti fratelli in casa.
Aveva peró questo vizio, insicurezza celata in una bottiglietta, solitudine colmata in una sostanza che brucia polmoni e cervello al sapore di fragola. Lo abbracciavo e sentivo la sua maglietta impregnata di questo odore. Cercavo di parlarne, di trovare un dialogo. A volte veniva nella mia scuola serale, ma non assiduamente.
Non mi potró mai scordare il primo ricordo tangibile che ho di lui, che risale giá a 2 anni fa.
In una bella mattina di sole, lo incontro mentre vado in spiaggia e lui viene con me. Ho il giornale e lo leggiamo insieme, parliamo della vita, dei viaggi, gli scrivo delle frasi in varie lingue. Amo parlare con i miei ragazzi, soprattutto in spiaggia, perché sono rilassati ed é il momento che li trovo piú disponibili. Ne approfitto cosí per indagare se hanno problemi; se studiano; se vengono picchiati; se usano droga; il tutto chiacchierando affabilmente.
É un modo, certamente naif che ho per carpire informazioni e per cercare di trasmettere pillole di saggezza, o per aprire un varco nella loro fiducia.
Arrivano altri adolescenti e continuiamo a chiacchierare. Uno di loro invita C. a fare il bagno in mare e lui risponde: “no, non vengo perché la conversazione qua é molto interessante”. Come mi fece bene questo commento !!!! E come gongolai sapendo che ero io l´artefice di questa attenzione. Allora mi dissi che si, che valeva la pena.
Purtroppo la mia amicizia; il mio affetto; il mio desiderio di aiutarli; la mia scuolina serale non sono bastati a salvargli la vita.
Devo confessare che la sua morte mi ha sconvolto abbastanza, proprio in un momento in cui stavo mettendo in discussione l´efficacia di quello che sto facendo.
Esattamente 10 giorni fa ho passato 2 belle ore con una quindicina di adolescenti a quel semaforo.
Avevo lavorato, quindi avevo guadagnato qualche soldino, ero felice, e mi sono ritrovata a quel semaforo che per me rappresenta quasi un appuntamento quotidiano. Ho offerto un ghiacciolo a tutti i ragazzi presenti; abbiamo chiacchierato e fatto progetti. C´ era D. che é appassionato di fotografia e cosí gli ho consegnato una macchina usa e getta per mettersi alla prova: é lui che ha scattato probabilmente la foto piú recente di C. in vita, mentre tira in aria le sua palline al semaforo rosso.
Domani io e lui andremo a trovare la madre per consegnarle questa foto.
Non so ancora cosa faró e come organizzeró il mio lavoro.
So che con questi adolescenti é difficile ed io sono letteralmente da sola qua, pur avendo il vostro sostegno materiale ed economico. Non mi sento in colpa per quello che é successo, ma interrogativi me ne pongo e vorrei capire qual´ é la cosa migliore da fare. Se é possibile fare qualcosa.
Vi abbraccio forte e riscriveró presto.
Da una Roçinha un poco piú triste.
OTTOBRE 2003
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