Manifestazioni represse dalla polizia, esercito in strada, e una grande mobilitazione popolare. In questi giorni la situazione in Brasile non è semplice. Il paese affronta le conseguenza della “corrottocrazia” del governo, frutto di un sistema pluriennale di donazioni illegali ai partiti politici – noto con l’espressione “caixa dois”, cassa due – e svelato in parte dalla maxi-inchiesta “Lava Jato” (autolavaggio). I giudici, tramite accordi con imprenditori e politici, sono riusciti ad arrivare fino all’attuale presidente, Michel Temer, registrato mentre autorizza il pagamento di mazzette all’ex presidente della Camera Eduardo Cunha in cambio del suo silenzio, dimostrando ancora una volta quanto corruzione e senso di impunità siano alla base della alleanza tra classe politica e classe imprenditoriale. Temer, che si dichiara innocente, affronta ora una richiesta di impeachment, trovandosi così, a qualche mese di distanza, nella stessa situazione di Dilma Rousseff, presidente eletta e allontanata con l’accusa di manovre contabili illecite sul bilancio dello stato.
Nel frattempo, le proteste scoppiate nei giorni scorsi a Brasilia per chiedere l’allontanamento di Temer, sono state represse violentemente dalla polizia, e hanno portato il presidente a emettere un decreto, poi ritirato, per autorizzare la presenza dell’esercito nelle strade. Un salto indietro di 50 anni, all’epoca della dittatura, in cui il paese viveva in stato d’assedio. La decisione di Temer non è passata sotto silenzio: il giorno seguente al decreto, l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani e la Commissione Interamericana dei diritti umani ha mandato una lettera di protesta al governo brasiliano per condannare la repressione di Brasilia.
Ma che cosa succede adesso se, come pare, questa settimana Temer si dimetterà? La Costituzione prevede che il presidente della Camera assuma il ruolo di Temer per trenta giorni fino al voto del nuovo presidente da parte del Congresso. Entrambi i presidenti di Camera e Senato, però, sono sotto indagine giudiziaria, così come buona parte dei loro colleghi, e non possono accettare l’incarico. Anche tra i candidati alla presidenza della Repubblica sono pochi quelli liberi dai sospetti, o dalle accuse provate, di corruzione.
Come reagiscono a questa situazione i brasiliani? Mobilitandosi come trent’anni fa quando scesero nelle piazze di tutto il paese chiedendo Diretas Já, ovvero elezioni dirette. Domenica scorsa a Rio oltre 100 mila persone si sono riunite a Copacabana per un grande concerto – hanno suonato Caetano Veloso, Criolo, Milton Nascimento, Maria Gadu, Mano Brown – a favore della campagna per le elezioni presidenziali dirette. Vorrebbero esercitare il diritto a scegliersi il presidente che vogliono, scavalcando per una volta i politici corrotti, in carica ormai da trent’anni. Un desiderio legittimo che tuttavia richiede una modifica costituzionale di non semplice procedura. La speranza di molti è che queste prime proteste possano trasformarsi in un vero movimento come quello che, all’inizio degli anni 80, portò alla fine della dittatura. Nel frattempo, ci si difende anche con il senso dell’umorismo. I social brasiliani in questi giorni sono invasi da meme e montaggi che ridicolizzano Temer. Diritto di satira, sacrosanto, non gradito però al palazzo del Planalto (la sede del governo a Brasilia), che ha emesso una nota ridicola in cui avverte che le foto ufficiali del presidente non possono essere modificate senza autorizzazione. Tanto vale riderci su, ancora una volta.
No Comments