La morte della democrazia in Brasile?

Dilma Rouseff, la presidente allontanata per impeachment da un altrettando contestato governo Temer

di Ambra Notari – 55 voti a favore, 22 contrari e nessuna astensione: il Senato ha accettato il procedimento di impeachment della presidente Dilma Roussef. Dilma è sospesa 180 giorni, durante i quali sarà giudicata dalla Corte Suprema. Se le accuse saranno confermate, sarà destituita e sostituita dal suo vice Michel Temer, oggi presidente ad interim.

Già, Michel Temer. Rappresentante del Partito del Movimento Democratico Brasiliano, il più grande alleato di Dilma, prima di prenderne le distanze. L’uomo scelto da lei stessa alla vigilia del voto del 1 gennaio 2015 in nome della governabilità. “Quello che è stato fatto contro di me è un golpe, tutti lo sanno”, ha detto l’ormai ex presidente ai suoi sostenitori con le magliette rosse (tra cui alcuni movimenti sociali importanti come i Sem Terra), che oggi stridono come non mai con le bandiere verde oro che avvolgono i sostenitori di Temer (che appoggiano i poteri forti e sperano di soffocare quel capitolo della storia cominciato con l’elezione di Lula), quegli uomini e quelle donne che hanno accolto con grida di giubilo tutti i sì dei senatori in aula.

La lista dei ministri di Temer era già pronta: uomini – solo uomini: il governo di Temer è il primo completamente maschile dalla fine della dittatura nel 1985 – solo bianchi, nessuno di colore, scelti tra le forze conservatrici del Paese, tra le quali quelle sconfitte alle elezioni 18 mesi fa. Sette membri del nuovo esecutivo sono indagati nell’inchiesta Lava-Jato (tangenti Petrobras), che in Brasile ha travolto l’intera classe dirigente. Risultato? Il nuovo governo ha più indagati di quello uscente.

Perché la macchina della corruzione è diffusa in tutti i partiti politici: dei 21 deputati sotto inchiesta per la vicenda Petrobras, 16 hanno votato per l’impeachment di Dilma. L’agenzia brasiliana di fact-checking Lupa ha analizzato la scheda dei 65 membri della commissione che ha giudicato Roussef e ha verificato che 36 di loro hanno cause in corso: fra i crimini, riciclaggio di denaro, cospirazione, falso in bilancio e corruzione. Uno dei casi più emblematici è quello del deputato Paulo Maluf del Partito Progressista (PP), condannato in Francia all’inizio di aprile a tre anni di prigione per riciclaggio e ricercato dall’Interpol.

Circa il 60% dei membri del Congresso risultano indagati per reati penali. Secondo Transparência Brasil, un’organizzazione non governativa che monitora le istituzioni pubbliche del Paese, dei 513 membri della Camera dei Deputati, 273 (circa il 53,2%) sono accusati o indagati per reati gravi. Al Senato, lo stesso vale per 45 degli 81 membri (circa il 55,6).

A questo va aggiunta la condizione in cui versa il Brasile, alle prese con la sua peggiore recessione dagli anni Trenta, un Paese con una disoccupazione che per la prima volta dopo 13 anni torna al 10% (si contano circa 10 milioni di brasiliani disoccupati) e un Pil crollato al -3,8% nel 2015 dopo avere fatto segnare un +8% negli anni d’oro di Lula. Uno studio dell’Onu rivela che i brasiliani ricchissimi sono circa 71mila (0,05% della popolazione adulta): questi hanno guadagnato, in media, 4,1 milioni di reais nel 2013, un milione di euro circa. Ma, sempre secondo la ricerca, questi brasiliani pagano meno tasse, in proporzione al proprio reddito, di un normale lavoratore dipendente: questo perché circa due terzi del reddito dei super-ricchi è esente da qualsiasi incidenza tributaria. E qui si apre l’abisso della proposta di una progressività tributaria, una delle grandi sfide del Paese che a oggi nessuno ha potuto – o voluto – accollarsi. Per non parlare della situazione umanitaria: “Il Paese pur avendo compiuto passi avanti nel campo delle politiche di riduzione della povertà, ha mantenuto un alto grado di violazioni dei diritti in altri ambiti”, ha spiegato Atila Roque di Amnesty International.

Per questo è sbagliato pensare che il fallimento sia solo opera di Roussef: i dati, come abbiamo visto, dimostrano che il Paese è tutto attraversato da una vena di indolenza e corruzione. Una vena con cui i brasiliani fanno fatica a fare i conti, o forse non l’hanno ancora compresa in tutta la sua interezza e pericolosità. Perché in una democrazia, le cose si cambiano andando alle urne, non con un impeachment: Dilma è stata eletta con 54 milioni di voti, e l’uomo che ha avviato la procedura per rimuoverla è Eduardo Cunha, presidente della Camera dei Deputati, accusato di corruzione e riciclaggio sporco, l’uomo che ha scritto un disegno di legge che rende difficile l’assistenza sessuale alle donne vittime di violenza, come denunciato da Amnesty International.

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