I giornali ne hanno parlato a volontà, creando come da copione un allarmismo senza precedenti. Di certo giustificato, ma non solamente dalla minaccia rappresentata dall’Aedes Aegypti.
Il virus Zika non è una novità per il Brasile né tantomeno l’unica malattia a trasmissione virale che flagella in particolar modo il Nordest del paese, specialmente il Pernambuco.
Tra il 2015 e il 2016 anche i casi di dengue hanno registrato un visibile incremento. Secondo O Globo, il quotidiano piú diffuso del Brasile, si sarebbe infatti passati da 24.2 a 36.1 casi ogni 100 mila abitanti, per la maggiore provenienti da aree caratterizzate da condizioni sanitarie e ambientali precarie. E la microcefalia, lato tragico del fenomeno Zika, in realtà solo nel 8.8% dei casi sembra essere riconducibile al virus. Si è taciuto ad esempio che nel 2014, nelle aree maggiormente colpite, all’acqua potabile fosse stato aggiunto il Piriproxifeno, un larvicida che l’Associazione brasiliana di salute collettiva ha confermato essere una possibile causa di microcefalia. O che Plínio Santos Filho, fisico brasiliano specializzato in risonanza magnetica e ricercatore indipendente, abbia trovato una connessione tra la malformazione celebrale e alcuni vaccini somministrati alla popolazione, come ad esempio la trivalente.
La malainformazione ha tentato di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai quesiti fondamentali che ci si dovrebbe porre in casi simili, e ben prima che l’Organizzazione Mondiale della Sanità proclami l’emergenza sanitaria a livello internazionale. Dove nasce il problema? Come lo si sta risolvendo?
Mentre le autorità invitano i brasiliani ad indossare maniche e pantaloni lunghi e a fare uso di repellenti anti zanzare, ché in ultima analisi sembra stia ai cittadini proteggersi dal contagio, l’Istituto Butantan (impegnato nella ricerca per lo sviluppo domestico di vaccini, tra i quali quello contro il dengue) denuncia di non aver mai ricevuto dal governo le risorse necessarie alla sperimentazione dei test sierologici per la Zika.
Il governo brasiliano ha dimostrato negligenza non solo in questo caso, ma anche verso questioni che sarebbero dovute essere state affrontate già da tempo. Prima fra tutte l’inquinamento.
Poco meno di un anno fa il lago Rodrigo de Freitas si riempiva di pesci morti saliti in superficie a causa della spazzatura e dai veleni rilasciati dagli scarichi abusivi. Con i pesci veniva a galla una verità scomoda e il sindaco di Rio, Eduardo Paes, si impegnava a ripulire la Baia di Guanabara dall’80% dell’inquinamento riscontrato. Una promessa non mantenuta visti gli alti costi stimati per bonificare solo la metà dell’area, pari a circa 4 miliardi di euro.
Il nocciolo della questione sono le finanze. Nel 2000, con Lula al governo, il Brasile si proponeva sul mercato globale come potenza economica emergente e pianificava il debutto a mezzo di eventi di portata internazionale. I Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016 sono solo alcuni tra questi. Ciò che non aveva previsto, piuttosto, è la crisi economica e politica in cui versa ora, che sta mettendo sotto gli occhi di tutti le fragilità di un Paese che ha costruito sogni di gloria su basi d’argilla.
Secondo quanto dichiarato da Luis Fernandes, ministro dello Sport, il budget stimato per i mondiali ammonta a 13.3 miliardi di dollari (85% de quali provenienti dalle casse dello Stato), quello per le olimpiadi a 18. Spesi per costruire o rimodernare stadi e creare lussi e comfort che con scarse probabilità garantiranno il pareggio in bilancio.
Nel frattempo gli abitanti di Rio devono fare i conti con gli incrementi delle tariffe dei trasporti, i tagli ai servizi pubblici (sanità inclusa), lo sfratto coatto degli abitanti dei Morros per edificare nuove costruzioni nei pressi del Villaggio Olimpico.
Il gigante brasiliano ha tentato di sollevarsi senza curarsi di calpestare i diritti del suo stesso popolo. A rimetterlo in ginocchio é bastata una zanzara.
Il Sorriso dei miei Bimbi è operativa a Rio de Janeiro e promuove l’educazione e la difesa del diritto ad un futuro migliore per i giovani provenienti da Rocinha, la favela più grande del Brasile.
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