Barbara Olivi, l´intervista a Il Fatto Quotidiano
Esce oggi l´intervista di Andrea Tundo de “Il Fatto Quotidiano” a Barbara Olivi, una lucida analisi su favelas e Mondiali, a 24 ore dal calcio d´inizio.
Vi proponiamo alcuni passi, per l´intervista integrale, clicca qui.
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“Lo spirito della Coppa, qui, ancora non si sente. E non potrebbe essere altrimenti, poiché finora abbiamo pagato le conseguenze dell’evento”.
Con l’avvicinarsi della Coppa del Mondo si è scritto di tutto sulle favelas. Com’è la situazione alla Rocinha?
“Se vivessimo in Italia la stessa repressione saremmo già impazziti. Mentre qui, nonostante la fogna e la mancanza di strutture vince comunque la voglia di andare avanti.”
Però che polizia e favelas vivano un rapporto sempre più complicato è innegabile.
“Dopo il periodo di terrore seguito alla “pacificazione” del 13 novembre 2011, oggi viviamo sotto il controllo massiccio dell’UPP (unità di polizia pacificatrice, ndr),
fattosi più stringente nell’ultimo mese. Ci sono tre categorie di agenti dell’UPP: gli anziani, corrotti e con il chiodo fisso del guadagno, i giovani idealisti che credono nella loro opera di pacificazione e i ragazzi che entrano in polizia per avere accesso libero all’università.”
L’inasprimento del conflitto è una conseguenza dell’avvicinarci della Coppa del Mondo?
“Vivendo qui non può sfuggire che l’ordine di alzare il livello di repressione sia palese: entrano, sparano, ammazzano.”
La “questione favelas” come viene trattata dalla stampa?
“I media brasiliani cercano di non parlarne, evidenziando solo le operazioni di polizia. I giornalisti stranieri si dividono in due scuole di pensiero: “esaltare le storie eccezionali” oppure “violenza, violenza, violenza”. La realtà è che siamo finiti sotto i riflettori per i Mondiali, ma qui lo spirito della Coppa non è ancora arrivato.”
Un paradosso, tenendo conto che gli strati più poveri della popolazione brasiliana sono il cuore pulsante della passione per il calcio.
“L’assegnazione dei mondiali al Brasile è stata motivo di orgoglio anche qui. Però i benefici si sono fermati un passo prima d’entrare alla Rocinha e in qualsiasi altra favela. La Coppa è costata tanto al settore pubblico. E questa gente ne paga le conseguenze sulla propria pelle. Sono cresciuti i prezzi e le infrastrutture pensate e iniziate non sono ancora state portate a termine. Quelle ultimate, penso agli stadi, sono diventati inaccessibili.”
In che senso?
“Il Maracanà è sempre stato un simbolo del popolo, oggi è un posto per ricchi. Il prezzo più basso per una partita è di 80 reais, il salario minimo di un brasiliano è di 780. Chi spende il 10 per cento dei propri guadagni per vedere una partita di calcio?”
Grazie di cuore ad Andrea Tundo. Per leggere l´articolo integrale, clicca
qui.
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