Cinque mesi sono passati da quello che è stato classificato come il più grande disastro ambientale del Brasile, e i ricercatori non sono ancora riusciti a stabilire con esattezza l’entità dei danni che la massa di fango e residui minerari riversatisi sul Rio Doce hanno provocato all’ecosistema.
Il 5 novembre scorso, con la rottura della diga Fundão prima e di altre due dighe poi, oltre cinquanta milioni di metri cubi di rifiuti – scarto della lavorazione mineraria gestita dall’azienda Samarco – si sono riversati sul paesino di Bento Rodrigues ed hanno continuato la propria corsa verso il Rio Doce, causando morti e feriti tra gli abitanti ed il perimento per asfissia di molte tra le specie animali e vegetali che popolano l’area.
Nonostante la Samarco abbia dichiarato che l’87% delle scorie sono state bloccate nella regione in cui si forma il Rio, gli esiti dei test condotti dagli esperti non restituiscono un quadro altrettanto roseo. A cambiare colore non è stata solo l’acqua del fiume, ma anche quella del mare. Nei campioni d’acqua prelevati alla foce è stata riscontrata una quantità di ferro venti volte superiore a quella rintracciabile prima del disastro, oltre che ad una concentrazione notevolmente elevata di alluminio, cromo e manganese. E dove prima prosperavano almeno sessanta tipi di pesci e alghe, ora se ne rilevano solo venticinque.
Una risposta da parte delle istituzioni si è fatta attendere quattro mesi e quando è arrivata ha fatto storcere il naso a molti. L’accordo sottoscritto a Brasilia dalla Samarco e dai suoi azionisti da un lato, dal governo federale, gli stati di Espirito Santo e Minas Gerais dall’altro, è stato siglato con l’obiettivo di definire le azioni di bonifica ambientale e risarcimento alle vittime del disastro.
I fondi per implementare le azioni delineate dall’accordo, stanziati dalla Samarco e dalle multinazionali che la controllano, saranno gestiti da una fondazione privata costituita da membri designati dall’azienda stessa. Il fatto che siano gli artefici della catastrofe ad avere pieno potere decisionale sulle modalità di impiego del denaro versato per il ripristino ambientale dell’area e l’indennizzo dei locali é di per sé un elemento di incertezza su come tale denaro verrà utilizzato.
Ad aggravare la situazione è il fatto che né in fase di negoziazione né in fase di attuazione dell’accordo è prevista la partecipazione attiva delle popolazioni locali, i cui diritti umani sono stati quindi pesantemente violati. Agli abitanti del luogo non è stata nemmeno fornita la possibilità di rappresentanza legale indipendente: nel caso in cui gli indennizzi decretati dalla fondazione vogliano essere contestati, la stessa fondazione sarà incaricata di pagare gli avvocati che difenderanno le vittime in tribunale.
Ma nell’industria mineraria brasiliana non é la prima volta che la logica del “sorvegliante che sorveglia sé stesso” é applicata. Non di rado sono le imprese a dirigere per i propri progetti la stesura dei rapporti d’impatto ambientale da presentare agli enti pubblici. La mancanza di sorveglianza imparziale sull’operato dei colossi che stanno sfigurando il volto del Brasile sembra di fatto essere l’elemento principale che ha portato alla rottura delle dighe, e non – come si ostinano ad affermare le autorità – il semplice verificarsi di un incidente.
Per contro, e per quanto si sia tentato di toglier loro voce, le vittime della catastrofe continuano la loro protesta.
Ailton Krenak, leader indigeno, ambientalista e scrittore, parla di responsabilità: “La VALE deve ripulire il letto del fiume che ha riempito di rifiuti. Non possiede forse macchine capaci di distruggere le nostre montagne? Che adesso le usi per riparare la tragedia che ha provocato!”. La VALE, azionista di maggioranza della Samarco, sfrutta le cave di Minas Gerais dal 1942. “Quando dicono che il fiume è morto è solo una scusa per non pulirlo. Gli uomini lo potranno sporcare, è vero, ma non lo potranno mai uccidere”. Per i Kernak il Rio Doce è una divinità che porta il nome di Uatù. “Molti anni fa, Carlos Drummon de Andrade scriveva un bellissimo verso che diceva: Nel mezzo del cammino c’era una pietra. Egli parlava di noi: siamo noi la pietra nel cammino. Della Samarco, della VALE, di tutti coloro che stanno distruggendo la nostra terra”.
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