Brasile oggi. Un libro, un film e una poesia per capire

Conoscere davvero il Brasile e la sua società non è una passeggiata. Sono molti, troppi, gli aspetti a cui occorre dedicare attenzione e studio per non correre il rischio di semplificare e cadere negli stereotipi, anche alla luce dei tragici omicidi, tra cui quelli dei nostri connazionali, avvenuti di recente. Una lettura banalizzata che procede per pregiudizi, purtroppo ancora troppo diffusa in Italia, ci impedisce di comprendere la realtà brasiliana. Per questo ogni strumento, ogni stimolo che ci aiuti a superarla va colto con attenzione e gratitudine. In questi giorni, possiamo contare su due preziosi “supporti”. Il primo è un libro, il secondo un film. Ci parlano di “favelas”, e quindi del “campo di azione” del Sorriso dei miei Bimbi, e anche di quella classe media, speranza di riscatto per molti brasiliani, sempre a rischio di finire stritolata dalle élites economiche.

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Sulle “favelas”
Si intitola “Crimine e favelas” (Eiffel Edizioni) il saggio che il giornalista Luigi Spera ha scritto nel tentativo di fare piazza pulita dei luoghi comuni che ancora fungono da griglia di lettura automatica quando si parla di “favelas”, o meglio, con un termine più neutro e corretto, di “comunidades”, comunità di cittadini. Obiettivo dell’autore, come lui stesso dichiara, è raccontare «non solo il crimine organizzato, bensì il crimine contro la favela e chi la abita, sin dall’inizio della sua storia, luogo di eccezione di diritti, di ghettizzazione, di sfruttamento, di razzismo, di violenza e ingiustizia». Spera si concentra sulla ricostruzione della fallimentare operazione di pacificazione delle favelas (UPP, Unidade de Policia Pacificadora), organizzata in vista delle Olimpiadi dello scorso agosto, approfondendone i vari aspetti: dalla speculazione economica e finanziaria, a quella commerciale ed edilizia che ha penalizzato pesantemente i “moradores”, i residenti nelle “comunidades”. Non manca però di offrirci un’accurata ricostruzione storica delle favelas, che parte in ricognizione della loro antica origine, in parte mitizzata, e ne traccia la traiettoria dalla fine dell’Ottocento a oggi. Emerge alla fine, imponendosi, e non potrebbe essere diversamente, anche un tema che abbiamo trattato spesso su questo sito e che si può riassumere nell’espressione “criminalizzazione della povertà”. Ovvero, invece di vedere la violenza nelle favelas come risultato della disuguaglianza del sistema, la si considera come una caratteristica inerente alla favela stessa. Si tratta di un processo di criminalizzazione della povertà, un pregiudizio di vecchia data, risalente all’epoca della schiavitù, ma ancora vigente, sul quale non bisogna smettere di riflettere e vigilare.

Sulla  classe media
Un altro ritratto interessante della attuale società brasiliana ci arriva dal film “Aquarius” del regista Kleber Mendonça Filho, nei mesi scorsi al centro di molte polemiche e dal 5 dicembre, finalmente, nelle sale italiane. Molto premiato all’estero, “Aquarius” non è gradito all’attuale governo brasiliano, quello di Michel Temer, succeduto a Dilma Rousseff dopo l’impeachment, che ha fatto perfino in modo di non candidarlo agli Oscar nella categoria dei migliori film stranieri. Non piace perché fa una diagnosi impietosa del Brasile contemporaneo, quello che dagli anni 80 post dittatura ha attraversato il lulismo per arrivare, malconcio, fino a oggi dopo una fase di ingiustificata euforia economico-finanziaria. Al centro della trama, Clara – una sessantenne, ex giornalista e critica musicale, interpretata da Sonia Braga – e la sua lotta per preservare dalla demolizione la sua casa, un piccolo edificio a tre piani sulla spiaggia di Boa Viagem a Recife. Al suo posto, un giovane, arrogante costruttore vorrebbe erigere un grattacielo, di cui ha già venduto sulla carta vari appartamenti. Una storia quasi archetipica del Brasile contemporaneo, tanto che qualche settimana fa la cronaca riportava la mobilitazione della popolazione contro la costruzione del grattacielo La Vue, a Salvador de Bahia, la cui imponenente altezza verrebbe a togliere il sole alla spiaggia sottostante, Porto da Barra.
Clara non desiste, non cede alle pur generose offerte di denaro; non vuole, non può rinunciare alla sua casa sulal spiaggia, alla sua memoria, alla sua vita. Clara è il Brasile uscito faticosamente dalla dittatura, che si è ricostruito con forza conservando e facendosi forte dei valori di umanità, solidarietà trasversale, sensibilità, vicinanza democratica agli altri – siano bianchi o neri, poveri o ricchi, bagnini o giornalisti, domestiche o avvocati, giovani o vecchi – e preservazione delle tradizioni. Gli altri, i suoi nemici – l’impresa di costruzioni, gli ex coinquilini, i suoi stessi figli, tutti coloro che si sono integrati nel sistema con l’obiettivo minimo della sopravvivenza tranquilla – la chiamano pazza, anarchica. Ma è lei, Clara, l’unica a fornirci una visione lucida di ciò che il Brasile sta perdendo, nel suo conformarsi a un modello di valori imposto da fuori. Soldi al posto del desiderio. Grattacieli invece di case accoglienti. Futuro da slogan pubblicitario invece di memoria.

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Sull’importanza dei poeti
Infine, un frammento della vita culturale brasiliana: un ricordo di Ferreira Gullar, famoso poeta maranhense, morto recentemente a 86 anni. Militante, oppositore del regime, uomo saggio e rispettato – ha scritto poesie, sceneggiature, canzonim film, articoli – era convinto che la letteratura fosse un mezzo per incidere sulla realtà. La sua è una poesia non ideologica, ma civile in senso alto, come dimostra questa bellissima lirica.

Do fundo do meu quarto, do fundo

do meu corpo 

clandestino

ouço (não vejo) ouço

crescer no osso e no músculo da noite

a noite
a noite ocidental obscenamente acesa

sobre meu país dividido em classes

 

Dal fondo della mia stanza, dal profondo

del mio corpo

clandestino

sento (non vedo) sento

crescere nell’osso e nel muscolo della notte

la notte
la notte occidentale oscenamente accesa

sopra il mio paese diviso in classi

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