Voci dal Brasile: Luiz Ruffato

Luiz Ruffato è un uomo dallo sguardo mite e la voce gentile, uno degli scrittori contemporanei che più ci aiutano a capire il Brasile, raccontando in modo potente e preciso, coinvolgente e distaccato al tempo stesso, vite “normali”: storie comuni di muratori,

Luiz Ruffato

lavandaie, venditori ambulanti, commessi. Vite che sono la sua stessa vita, segnata in buona parte dalle peregrinazioni da una parte all’altra del Paese, per sopravvivere e, magari, mandare qualche soldo a casa. In un’intervista pubblicata sul sito della casa editrice La Nuova Frontiera, Ruffato spiega l’origine e il senso profondo della sua ricerca: «Tutti gli scrittori brasiliani, tranne pochissime eccezioni, sono di classe media, quindi scrivono sulla classe media. E, di conseguenza, vengono consumati dalla classe media. Non mi trovavo nelle condizioni di essere scrittore. Mia madre era analfabeta, mio padre semianalfabeta. Mia madre era lavandaia, mio padre vendeva topinambur. Ho fatto moltissimi lavori: sono stato operaio tessile, tornitore meccanico e dopo, quando sono andato all’Università a studiare giornalismo, mi sono accorto che nelle pagine della letteratura brasiliana non c’era la classe medio-bassa delle zone urbane. C’era la classe media, quella medio-alta, la borghesia e i delinquenti». Da qui la decisione di concentrarsi su quel pezzo mancante di Brasile, dandogli finalmente una voce.

Operarios, opera di Tarsila do Amaral.

Operarios, opera di Tarsila do Amaral.

Nato a Cataguases, Minas Gerais, nel 1961, Ruffato vive oggi a São Paulo. La sua è, fino a un certo punto, una vita brasiliana tipo. Una vita brasiliana media è dura e costellata di disavventure. Funziona più o meno così: nasci povero, da genitori semianalfabeti, vai a scuola (poco), se hai fortuna fai un corso “professionalizzante” e diventi operaio specializzato. Allora te ne vai a São Paulo, o dovunque ci siano fabbriche, facendoti ore e ore di autobus, poi ti sistemi in una pensione di terz’ordine, dove ti ammazzi di fatica. Lavori e risparmi per mandare i soldi a tua madre, sperando che possa spaccarsi un po’ meno la schiena lavando i panni. Poi tuo padre si ammala e i soldi non bastano, e dei dottori non ti fidi, e l’ospedale è lontano. Devi anche pensare a tua sorella che vuole lasciare la scuola e va in giro con un poco di buono. A un certo punto qualcuno ti dice che ti conviene andare all’estero. Massì, vai, così fai i soldi, poi torni e tutti ti rispettano. Parti, sali per la prima volta su un aereo e ti sembra di impazzire. Arrivi in un posto dove fa un freddo dannato e per settimane, per mesi, non trovi uno straccio di lavoro. Mangi una volta al giorno per risparmiare, e piangi ossessionato dal pensiero di casa. Un giorno qualcuno ti offre un posto malpagato: cameriere, sguattero, lavapiatti. Accetti, sgobbi, i soldi non bastano comunque, ti metti nei guai, ti fai fregare, ti giochi il passaporto e ciao, addio sogni di gloria. E come ci torni più in Brasile? Intanto, a casa, a quelli che lavorano nelle fabbriche succedono cose strane: finiscono in galera, i poliziotti li pestano a sangue, ci sono i militari al governo, dicono, devi venire alla riunione del sindacato, dicono. Tu continui a sgobbare e a non capire. Che cosa succede? Dove sono finito? Come faccio a venirne fuori? Come faccio a tornare a casa, in campagna, nell’interior, dalla mia famiglia, da mia madre e dal suo dolce di manioca? Come? La risposta non arriva nella vita brasiliana media: la vita, le vite tutte uguali, che Luiz Ruffato sa raccontare così bene, con una lingua semplice e sublime che ti inghiotte mentre leggi e ti lascia addosso una commozione cruda.

Qualche giorno fa la Germania, paese che prima degli altri in Europa ne ha riconosciuto la grandezza umana e letteraria, lo ha insignito, insieme con il suo traduttore tedesco, del premio Herman Hesse, che si propone di dare risalto all’opera di un autore ancora ingiustamente poco noto. In Italia, dove gli capita di viaggiare abbastanza spesso, Ruffato è pubblicato dalla casa editrice La Nuova Frontiera, che ha il merito di portare da noi le voci sudamericane più illuminate e interessanti. Finora sono usciti “Sono stato a Lisbona e ho pensato a te”, “Di me neanche ti ricordi” e “Fiori artificiali”, accomunati da uno sguardo lucido, empatico e compassionevole dell’autore sui suoi connazionali. Letture che toccano il cuore e raccontano un Paese più di mille articoli di giornale.

 

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