“Se tocchi una di noi te la vedrai con tutte noi”

downloadRio De Janeiro, maggio 2016. Erano più di 30 uomini. Lei ha solo 16 anni. L’hanno drogata e violentata ripetutamente. Si sono vantati di averlo fatto. Hanno filmato la violenza, l’hanno condivisa su Twitter.

Piauì, maggio 2016. Erano almeno 5 uomini tra i 15 e i 18 anni. Lei 17. L’hanno violentata a turno.

Secondo i documenti ufficiali sulla sicurezza pubblica del paese, nel 2014 in Brasile sono stati denunciati 47.646 stupri. Con ogni probabilità, un dato di gran lunga inferiore rispetto alla realtà. L’Istituto di ricerca economica applicata (IPEA) sostiene che in Brasile solo il 10 per cento delle violenze sessuali sono denunciate. Parla di 527mila persone violentate ogni anni: l’89% donne e il 70% di queste bambine e adolescenti.

In tutto lo Stato hanno preso vita manifestazioni spontanee di protesta per chiedere giustizia e denunciare il radicato sessismo. Denunciare, insomma, quella conosciuta come “cultura dello stupro”.

Cosa dice la legge? Nella vigente legislazione datata 1984 lo stupro costituisce l’unica eccezione per la pratica abortiva legale. Nel 2009 una legge del codice penale brasiliano è stata modificata, passando a considerare, oltre al rapporto sessuale, anche gli atti di libidine come reato di stupro. Lo scorso anno, la Commissione di Costituzione e Giustizia e Cittadinanza della Camera dei Deputati ha approvato un disegno di legge che rende molto più difficile l’accesso alle cure mediche per le vittime di stupro. Il PL 5069 del 2013 prevede che, per essere assistite, le vittime prima passino da una stazione di polizia e poi sottopongano a un esame del corpo del delitto. Solo a quel punto potranno recarsi in ospedale con i documenti necessari a dimostrare che effettivamente sono state stuprate. Manca solo la ratifica.

Le donne, in strada, erano scese anche qualche mese fa,, con le manifestazioni di protesta dopo l’approvazione del disegno di legge che limita l’accesso alla pillola del giorno dopo negli ospedali pubblici per le vittime di stupro. Disegno di legge confezionato, tra gli altri, da Eduardo Cunha, allora Presidente della Camera. Cunha, l’uomo per cui pochi giorni fa la commissione etica del Parlamento brasiliano ha raccomandato la destituzione. Cunha, l’architetto della sospensione dal potere della presidente Dilma Rousseff. Cunha, il potentissimo, accusato di aver mentito su conti bancari in Svizzera non dichiarati, intestati a lui e a sua moglie.

Un’immagine, quella delle donne a riempire le piazze e le strade di tutto il Brasile, che cozza clamorosamente con il nuovo governo: tutti uomini bianchi. Come se non bastasse, Michel Temer, presidente ad interim, ha cancellato il ministero che si occupava di politiche di genere, razza e diritti umani ed eliminato il ministero della cultura (poi, solo su quest’ultimo, si è ricreduto). Intanto, ha nominato Fàtima Pelaes Segertaria per le politiche femminili. La donna, evangelica, sociologa, deputata federale del PMBD-Ap per 20 anni, è fermamente contraria dalla depenalizzazione dell’aborto, anche a seguito di stupro. Pelaes ha affermato che “non innalza mai bandiere contrarie ai valori biblici” come, appunto, l’aborto e la costituzione di famiglie tra persone dello stesso sesso. La neo-segretaria, in realtà, non l’ha sempre pensata così, almeno fino al 2002, quando disse di avere conosciuto Gesù e di avere capito che il diritto di vivere deve essere riconosciuto a tutti. Nel 2010, alla Camera, durante un intervento, Fàtima Pelas raccontò di essere lei stessa frutto di un abuso subito dalla madre mentre si trovava detenuta per un “crimine passionale”: “Per questo oggi sono qui a dirvi che la vita comincia nel momento del concepimento”, affermò. Riguardo all’aver mutato di opinione nel merito, ha affermato di essere stata “curata”.

“Siamo qui perché siamo violentate ogni giorno, in tutto il mondo”. “Se tocchi una di noi te la vedrai con tutte noi”. Erano questi, due tra i tantissimi, gli slogan delle donne scese per strada a gridare tutta con tutta loro determinazione “Basta”.

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